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Voyager e hubble: oltre i limiti dell’esplorabile




Il mito della sonda spaziale Voyager 1 inizia nel lontano 5 settembre 1977, con la missione di studiare insieme alla sua gemella Voyager 2, le parti più remote del nostro sistema solare. Il suo obbiettivo era sorvolare Giove, Saturno e Titano, ottenendo immagini e misurazioni mai ottenute prima.


A bordo non ha solo strumentazione scientifica o batterie ma anche il Golden Record: un disco in vinile d’oro, fatto per durare più del nostro pianeta stesso, biglietto da visita degli umani per la Terra. Al suo interno troviamo le base del calcolo matematico, immagini di noi e della nostra anatomia, del mondo che ci circonda, di come di prevede saranno posizionati i nostri continenti tra migliaia di anni ed una mappa del nostro sistema solare nella Via Lattea. Il tutto accompagnato da saluti in 55 lingue diverse e molta musica da tutto il pianeta, specialmente di origine aborigena. Il comitato che si è occupato della sua creazione, guidato da Carl Sagan, decise di non includere immagini di guerra, povertà, malattia, crimine, ideologia o religione.




«Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, così da poter vivere fino ai vostri.» - Jimmy Carter (USA President)

Dopo 2 settimane dal suo lancio donò al mondo la prima di tante immagini mozzafiato: la prima foto della Terra insieme al suo satellite Luna. 18 sett 1977

Nel 1979 raggiunse la sua prima tappa, analizzando da vicino spaventose tempeste del gigante gassoso, in particolare il Great Red Spot, la più grande di tutte, tanto grande da poter contenere la Terra intera. Inoltre fotografò i suoi anelli e sorvolò le sue misteriose lune, scoprendone 3 nuove. Catturò le eruzioni vulcaniche di Io ed i letti di fiumi di Ganomede. L’anno successivo raggiunse Saturno, con le sue strisce di tempeste sulla superficie, i suoi anelli e la sua misteriosa luna Titano. Fotografò l’atmosfera di quest’ultima, carica di idrogeno, teorizzando la presenza di mari di metano ed etano sulla sua superfice, confermato solo nel 2004 dalla sonda Cassini. La sua missione stretta l’aveva conclusa così, nel 1980, ormai destinata a non incontrare altro corpo celeste per migliaia di anni. 10 anni dopo, Carla Sagan, chiese a gran voce di puntare la sua telecamera un’ultima volta verso il Sole, donandoci la “Solar System Family Picture”: una composizione di fotografie con tutti i pianeti del nostro sistema solare, catturati dalla stessa prospettiva, all’esterno del sistema solare stesso. Nel 2004 raggiunse il confine dell’eliosfera, dove vento solare e vento interstellare si incontrano. Nel 2010, 20 anni dopo l’ultima volta, riaccese i propri razzi, riorientandosi con successo per analizzare al meglio questo fenomeno assurdo ai confini del nostro sistema. 2 anni dopo diventò il primo oggetto di origine umana a raggiungere spazio interstellare.



Tutt’ora, 44 anni dopo il suo lancio, viaggia alla velocità di 17 Km al secondo, ha percorso 154 unità astronomiche (dove 1 AU corrisponde alla media distanza tra il Sole e la Terra, 149.597,9 Km ) e continuerà a trasmettere informazioni vitali per il genere umano fino all’esaurimento degli isotopi radioattivi usati come suo generatore elettrico, tra qualche anno. Tuttavia il suo viaggio continuerà, mossa dall’inerzia, raggiungendo la prossima stella del nostro gruppo locale tra 40.000 anni, la piccola nana rossa della costellazione dell’Orsa Minore, portando con se il Golden Record.


Questa è la breve storia di una delle imprese più incredibili raggiunte dal genere umano, alla quale si dà poco o nessuna considerazione. Tutti ricordano l’arrivo dell’uomo sulla Luna o sanno dire cosa sia lo Sputnik, ma il Voyager non trova spazio ne tra i libri di storia insegnata a scuola ne nell’immaginario della gente comune. Si è perso tanto di quel momento e di quelle aspirazioni, creato dalla Guerra Fredda, nell’esplorazione spaziale: non perché fosse utile economicamente ma perché fosse a dimostrazione delle capacità umane e perché era compito della specie intera continuare ad esplorare l’ignoto. Ora l’attenzione è tutta rivolta a problemi terreni, continuando a ripeterci che sia solo uno spreco di risorse, un sogno enorme ma senza risvolti utili. I dati, tuttavia, ci dimostrano il contrario: l’investimento pubblico nelle agenzie spaziali è minimo, ma le ricerche prodotte dalle loro menti brillanti portano a tecnologie e soluzioni a problemi terreni che portano l’umanità collettivamente un passo avanti. Ogni anno la NASA pubblica il documento “Spinoff” dove elenca tutti gli avanzamenti fatti, non strettamente collegati al mondo aerospaziale, in tutte le discipline trattate nella sua agenzia e sono decisamente molte: colture verticali di ogni tipo di vegetale, nuovi materiali estremamente versatili, concimi super-avanzati creati dall’utilizzo di rocce, fotocamere dalla nitidezza microscopica… Ma soprattutto non consideriamo di essere una tra le poche civiltà che potrà effettivamente permettersi l’esplorazione spaziale.


Due fattori fondamentali sono da tenere a mente: siamo all’inizio della fine del nostro universo e quest’ultimo di espande velocemente. Il primo fatto non è una minaccia incombente, si parla di miliardi di anni prima che la morte termica raggiunga ogni cosa nell’universo, ma bensì una stima sorprendente: ogni anno nascono solo 3 nuove stelle ed il 95% dell’Universo e della sua vita ci precede. Il secondo crea un limite cosmologico vero e proprio: i vari gruppi locali di galassie, non essendo legati da gravità tra loro, si stanno allontanando sempre di più e questo processo non solo è in atto da sempre ma sta anche accelerando! Questo comporta intere parti del nostro universo che viaggiano, relativamente alla nostra posizione, ad una velocità maggiore di quella della luce, superato l’orizzonte degli eventi, rendendole irraggiungibili secondo la fisica attualmente concepita. Il 94% del nostro Universo ha già superato questo confine e questo non lo rende solo inarrivabile da tecnologia o essere umano ma anche diventa totalmente invisibile, non essendo la luce stessa emessa da tali pianeti più veloce della velocità relativa del suo gruppo locale d’origine. Ogni secondo 60.000 stelle spariscono dal cielo notturno, non perché mangiate da un buco nero o perché conclusa la loro vita, ma perché avvolte da un velo di ignoto.



L’Hubble è un telescopio spaziale messo in orbita attorno la terra dalla NASA nel 1990, con lo scopo ottenere immagini impossibili per telescopi terrestri, vulnerabili alle condizioni meteo o alle interferenze magnetiche/gravitazionali. Tuttavia uno degli enormi specchi che componevano telescopio si dimostrò difettoso, affossando ancora di più l’opinione pubblica sulla NASA, già deteriorata dall’esplosione del Challanger. Venne riparato 3 anni dopo, con una missione di manutenzione nello spazio, estremamente costosa. Le immagini ottenute tuttavia erano dal dettaglio sorprendente. Robet Williams quell’anno decise anche di provare un’operazione insolita: puntare il telescopio in un punto “vuoto”, per provare ad ottenere una foto di lontanissime galassie, con una dimensione percepibile da terra grande come la testa di uno spillo. Il risultato dello scatto a lunga esposizione fu la Deep Field Image: uno scatto dove più la prospettiva è lontana più si sta guardando indietro nel tempo. Come se si facesse una foto della Terra dove in primo piano vediamo il canale di Suez, in secondo le Piramidi in costruzione ed in terzo i dinosauri.

Lo stesso è avvenuto con questa foto ma su una scala dal Big Bang ad oggi, 12 miliardi e mezzo di anni, dimostrando per prima i vari stadi della formazione delle stelle e del nostro Universo. Questa assurda immagine è stata possibile grazie alla luce di galassie distanti, che hanno anche superato il confine degli eventi, la quale luce ha viaggiato migliaia di anni per raggiungere le lenti dell’Hubble, permettendoci di guardare al passato. Siamo quindi una delle poche civiltà che anche in futuro avrà la capacità di capire la storia del nostro universo: con l’espansione continua dell’Universo oltre l’orizzonte degli eventi, rimarremo soli, senza stelle in cielo e senza coscienza ci fosse altro nell’Universo o idea di come si sia formato, colonizzandone al massimo lo 0.00000000001%. È per questo che l’astronomia e la colonizzazione del nostro sistema solare è tanto importante quanto la ricerca in tanti altri campi, non solo perché siamo capaci di farlo ma perché probabilmente saremo anche gli unici.



Fonti

- Kurgesagt – In a Nutshell, True limits of humanity, https://sites.google.com/view/sources-truelimitsofhumanity/

- Sito Ufficiale del Programma Voyager NASA, https://voyager.jpl.nasa.gov/

- Spitzer, Lyman S., Quarterly Journal of the Royal Astronomical Society, "History of the Space Telescope"

- Tatarewicz, Joseph N, "The Hubble Space Telescope Servicing Mission”


Copyright di tutte le immagini: NASA




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